L’individuale e il collettivo nel messaggio di Antonietta Innocenti

Il messaggio di Antonietta Innocenti è più che attuale: esso si propone e configura come una inesausta vitalità di forze in divenire. Antonietta Innocenti, in primo luogo, ha scoperto da sola, e senza nessun aiuto o suggerimento di corrente o scuola, la necessità di inserire gli elementi verbali nel discorso visivo: potremmo, quindi, parlare di una partecipazione di Antonietta Innocenti alla Poesia Visiva, se questo termine di Poesia Visiva non ci apparisse come la definizione empirica di una protostoria, di una fase ancora imprecisa, ancora indefinita, di un rapporto visivo-verbale che solo in questa seconda fase della ricerca di una generazione, acquista una sua pienezza, un suo proporsi come discorso esteticamente valido e realizzato.

Se, infatti, la Poesia Visiva che già potremmo chiamare “di tradizione” e che nasce, e muore, nell’area della contestazione, del Maggio Francese, della conquistata, seppur duramente, coscienza socio-politica di un contesto civico, si affida allo strumento il più possibile anonimo, al bianco-nero, alla tela emulsionata, nel continuo rischio di confondersi con il prodotto dei mass-media di analoga configurazione linguistica, questa esperienza di Antonietta Innocenti si può inserire nel quadro, ancora tutto da proporre, delle “nuove tendenze” che si articolano con diversa e più complessa, ed esteticamente più impegnata, sperimentazione singlossica.

Antonietta Innocenti lavora con il pennello: il colore, la disinvolta bravura dell’orchestrazione cromatica e della armonia strutturale, rilevano una eleganza smaliziata e pittoricamente addottrinata. Antonietta Innocenti è pittrice di squisito talento: anche quando approda alla soluzione visivo-verbale, resiste la prepotenza del substrato tecnicamente impeccabile, della esperienza scandita da una sapiente geometria di forme che rivelano una radice costruttivistica, la derivazione da una ricerca architettonica-strutturale. In questa prima fase che potrebbe essere definita la fase spaziale, Antonietta Innocenti è già avviata verso una ricerca verbale (singlossica) rispetto alla sua realtà visiva: la formulazione del suo “poema privato”, del suo “journal” di ansia, paura, sesso, disperazione, ha toni astratti, non privi di una garanzia crepuscolare, ma prevale una certa tonalità ermetica che è perfettamente in linea con la ricerca visiva.

La seconda fase, quella attuale, della esperienza visivo-verbale di questo singolare operatore isolato e solitario (Antonietta Innocenti vive a Foligno, in un paesaggio che è interpretato secondo una visione cruda e amara della realtà, senza cedimenti alle tentazioni di riscoprire la tradizionale Umbria mistica) presenta delle caratteristiche estremamente interessanti. Il primo aspetto è quello di un approfondimento della singlossia come ricerca di intersezione dell’elemento visivo e dell’elemento verbale. Questa esperienza più matura, supera la precedente esperienza astratta, pur molto felice, e, con una sua disinvolta grazia geometrica, si ripropone un più ampio discorso nel quale ha una valore prevalente la figura, ritrovata con notevole sapienza tecnica e con una sicura conoscenza della impostazione, anche anatomica, delle immagini rappresentate.

Il discorso di Antonietta Innocenti appare, qui, molto più pieno ed audace: esso si propone come una ripresa della tematica dell’Espressionismo Tedesco, una ripresa che si sviluppa in ambedue i linguaggi che si intersecano e vediamo in quale modo originale e singolarissimo. L’autore che predomina, in senso visivo, può essere considerato Kirchner, anche se la tematica della morbosa attrazione delle fanciulle può rinviarci a Otto Mueller, dove le “Jeunes filles en fleur” sono viste con una ambigua confidenza che nella rappresentazione di Antonietta Innocenti è più scoperta e più aggressiva. Notiamo che in questa tematica può essere anche identificato il tema di una ribellione non solo individuale, ma anche collettiva, come fu la ribellione degli Espressionisti tedeschi, contro i quali si scatenò la furibonda polemica hitleriana, la accusa di un “decadentismo” volto a corrompere il mito della stirpe della “grande Germania” travolta dalla follia imperialistica.

Tutti sappiamo che di questo Espressionismo Tedesco avanzano non molti esemplari sfuggiti alla devastazione nazista: a questo linguaggio, apparentemente morbido e incline alle tonalità erotiche talvolta sconcertanti, si collega il linguaggio visivo di Antonietta Innocenti, le scarne figure delle donne-efebo, che a volte assumono la disperazione delle giovinette chiuse nella “case delle bambole”, le prostitute con la stella gialla, che sono inquadrate dalla crudeltà di un paesaggio stilizzato e geometrico, che nel suo rigore indifferente sottolinea la tragedia delle violenze subite dai corpi ischeletriti e distrutti dalla lacerazione di ogni pudore. In queste prostitute-martiri esiste una dimensione di umanità che sembra avvicinare e rendere simili tutte le donne, in un comune destino di stupro subìto e di rassegnazione alla violenza: a questa visione di una femminilità dilaniata, si accompagna e si accosta un canto che ha spesso il timbro dell’epos di Brecht, la canzone-urlo, la canzone-denuncia, la canzone-minaccia che Jenny delle Spelonche fa sentire a tutti quelli che hanno fruito del suo corpo.

In questo canto, la voce di Antonietta Innocenti, là dove sembra essere più autobiografica, è la più collettiva, perché esprime la situazione di una civiltà, di un tempo, di una condizione che si ritrova in una pluralità di esempi, come fenomeno esistenziale che dall’intimo trabocca verso l’esterno, lo giudica, lo propone ad una condanna dell’esistere, nel mondo attuale, come donna: il grido solitario della pittrice-poetessa può essere accolto, condiviso, accettato, da milioni di donne che si battono per il recupero della loro umanità e del loro destino. Antonietta Innocenti è uno dei primi esempi delle “nuove tendenze” che si propongono come alternative rispetto alla già desueta e cristallizzata prima formulazione della Poesia Visiva: speriamo che il tempo ci consenta di vedere altre e più approfondite prove di questa fondamentale esperienza.

(1977)