Non credevamo assolutamente che a Foligno potesse esserci una donna (una ragazza per di più) che lavorasse così in silenzio e con tanta amorosa passione per il suo lavoro come Antonietta Innocenti.
E soprattutto la nostra immaginazione era ben lungi dal pensare che i risultati acquisiti dalla giovane Innocenti fossero così considerevoli. La pittura della Innocenti si ricollega agli impressionisti francesi, filtrata e vissuta attraverso le esperienze posteriori. In essa il colore nasce non solo dal tocco impetuoso ed istintivo che rende la materia vibrante, ma dall’alternarsi delle cavità, troppo spesso a nostro avviso, i contorni diventano ricercati, tanto da giungere in taluni casi ad una evidenza calligrafica; la libertà ispiratrice diminuisce a causa del troppo rigido controllo e la sintesi stessa diventa analisi.
L’emozione è filtrata, quasi da apparire evanescente: la notevole facoltà sintetizzatrice la conduce fatalmente verso personaggi inquietanti, coloristicamente deformati, dal volto attraversato da un ghigno, talvolta satanico, talaltra ironico. L’ironia è il mezzo per cui la Innocenti crea i suoi personaggi, li umilia, li avvilisce, restituendoli poi d’un tratto, con una costruita campitura di secondi piani e di personaggi minori, alla loro realtà quotidiana. Non saremmo sorpresi comunque che questa fedeltà all’umano ed al reale venga presto superata; in taluni quadri già appaiono evidenti i tentativi di scomporre con sapienti piani ed equilibrate luci la superficie avvicinandosi alle concezioni post-cubiste di Cassinari e di Pirandello. (1959)