Alla ricerca dell’ abstract perdu

Una volta tanto non occorre sgombrare il campo da eventuali dubbi o incertezze. Gli obiettivi della Innocenti sono alla luce del sole: chiari e senz’alcun cedimento. Quattro, ci sembra, sono i punti più cospicui che emergono dalla sua più recente produzione.

a) La figura umana, un figurativo, preferibilmente al femminile. (Qui, un approfondimento del significato “femminile” sarebbe utile, giusto per evitare eventuali malintesi per quanto riguarda “l’idea del femminile”, analisi alla quale preferiamo sottrarci per mancanza di titoli appropriati). Da “fonte sicura” risulta però, che l’artista in questione non era coinvolta nelle inquietudini del ’68 anche se, con prudente distacco, era affezionata e interessata a movimenti femministi.

b) Il rigore dello spazio, senza concedere nulla alla casualità, nonostante “l’apparente” totale disprezzo di regole e canoni di composizione. In realtà non è così. I conti (rapporti) tornano, sempre, pur risultando tale lettura in queste ultime opere più insidiosa rispetto a quella più scoperta della precedente produzione non figurativa, in cui, però, nelle ultime opere già appare il soggetto prediletto: la figura umana, che inevitabilmente doveva condurre l’artista all’attuale periodo pittorico. (Alcuni compositori del Romanticismo tedesco componevano lieder senza parole, come i dipinti della Innocenti sono senza nome o titolo. Tutt’al più, giusto per motivi di ordine, potrebbero essere numerati o essere chiamati Composizione “1” “2” o “3”, e così via, né più né meno. Ma sì: del culto del rigore e dell’ordine già soffrivano gli antichi egizi).

c) La parsimonia nell’uso del colore è evidenziata in ogni circostanza e non solo nella qualità e nell’intensità delle combinazioni cromatiche, ma anche nelle “quantità” della materia. (Va detto che dipinge con pennelli completamente consumati e a secco di colore). Potrebbe sembrare quasi un pretesto per non procedere in “bianco e nero”. No !- quell’artista toglie là dove può e tutto ciò rientra nella sua concezione del punto b).

d) Raramente mostra un qualche interesse, né un particolare entusiasmo per la terza e/o altra dimensione. Il suo occhio, addestrato per la visualizzazione, quasi scientifica dei particolari anatomici è del tipo “potente obiettivo” fotografico che però ripudia (quasi) tutto ciò che va oltre la seconda dimensione. Eppure le figure risultano “a tutto tondo.” Fiction, manipolazione, si direbbe in pittura o fotografia, parlando della terza dimensione. E poi c’è chi afferma che tutto ciò che non è natura sarebbe già forma astratta. La Innocenti rimane coerente. Da qui forse, il suo fare “figurativo-astratto,” o “astratto-figurativo,” meglio definito “astratto-concreto.” Sottigliezze dialettiche, forse? No! – Sindrome dell’idea dell’inafferrabile significato del termine “astratto.” Non è più l’astrattista di una volta, quando rifiutò semplicemente il figurativo, il vero, il naturale. Ora astrae dal vero. Toglie e toglie dalla forma, dalle dimensioni, dalle ombre e dalle luci, rosica dalla tela bianca che nuovamente diventa luce e ombra, e, così ci pare, guazza nella ricerca dell’armonico assoluto, nell’illusione dell’astratto discreto e dunque in una sua “nuova, concreta realtà.”

Ed è in questo suo cercare e fare astratto – concreto, che vorremmo trovare quell’aspetto misterico di espressione pallidamente effimero, emblematicamente sensuale, delle sue figure femminili, che a noi, bisogna pure dirlo, sembra si presentino dipinte quasi iperrealisticamente, vale a dire che appaiono più vere del vero, a dispetto dell’insistente astrarre. Tutto ciò senza l’impiego del mezzo che più coinvolge i sensi: il colore al quale invece preferisce l’effetto chiaroscuro, senza mai simulare profondità, giusto per non “ridursi a dipingere” in nero su linde tele bianche. (Non volevamo citazioni, ma forse esiste un lontano amore segreto per il Caravaggio)?

Insomma, qui tutto è chiaro e programmato. Questa pittrice non lascia aperto alcun passaggio all’interpretazione del fruitore, tanto meno concede a se stessa eventuali felici casualità pittoriche o compositive non previste dal progetto. Si scopre completamente, e subito. Il suo messaggio è istantaneo e non potrebbe essere altrimenti. Qualsiasi ambiente o ambientazione, (un solo vezzo ammette) avrebbe turbato la monolitica organizzazione della composizione, anche di una sola figura, tanto l’artista, così ci pare, è costantemente all’erta per non scivolare fuori da un serio lavoro artistico-professionale, attenta di continuo a misurare i suoi spazi, forma, impaginazione, spessori e quanto mai l’economia cromatica. Non c’è artista che non ha tratto linfa da altro artista. Perciò, come abbiamo premesso, riferimenti e citazioni in questa sede, ci sembra, non occorrono. Certo è invece, che Antonietta Innocenti ha le carte in regola per trarre ispirazione dalla propria lunga attività e dalle sue molte esperienze artistiche del passato. (2000)